Legge 7 agosto 2014, n. 16
Norme in materia di agricoltura e sviluppo rurale: agrobiodiversità, marchio collettivo, distretti
Il Consiglio regionale ha approvato
Il Presidente della Regione promulga
la seguente legge:
Capo I
Tutela, conservazione e valorizzazione dell'agrobiodiversità della Sardegna
Art. 1
Oggetto e finalità
1. Nel rispetto della Costituzione e degli obblighi nazionali e internazionali, la Regione autonoma della Sardegna riconosce e tutela l'agrobiodiversità del proprio territorio sotto il profilo economico, scientifico, culturale e ambientale. In particolare, la Regione tutela e valorizza il patrimonio di razze e varietà locali, come definito dall'articolo 2, al fine di sostenere lo sviluppo economico e sociale del settore agricolo, di promuovere la tutela degli agroecosistemi, di favorire un utilizzo sostenibile di tali risorse e di garantire la tipicità dei prodotti agricoli nel rispetto delle tradizioni, dei saperi e dei sapori locali.
2. La Regione:
a) riconosce che le razze e varietà locali e le relative specie progenitrici e/o affini appartengono al patrimonio di interesse agrario, zootecnico e forestale della Sardegna;
b) promuove e garantisce l'utilizzazione collettiva del patrimonio di razze e varietà locali effettuata attraverso la Rete di conservazione e sicurezza di cui all'articolo 8;
c) favorisce e promuove la tutela delle risorse genetiche d'interesse agrario, zootecnico e forestale, la salvaguardia e la gestione razionale degli agroecosistemi e delle produzioni tipiche e tradizionali.
3. Per l'attuazione della presente legge la Regione:
a) promuove l'informazione e l'educazione, con particolare riferimento alle scuole di ogni ordine e grado e agli adulti e d'intesa con le competenti autorità scolastiche, volta a favorire la formazione di una coscienza civica, il rispetto e l'interesse per l'ambiente e la sua tutela, anche in collaborazione con gli enti, agenzie, comitati spontanei regolarmente costituiti per la tutela e valorizzazione delle biodiversità e le associazioni senza scopo di lucro che abbiano come fine istituzionale la protezione dell'agrobiodiversità;
b) eroga contributi a enti pubblici o ad altri enti, agenzie e associazioni, comitati spontanei regolarmente costituiti per la tutela delle biodiversità e privati senza scopo di lucro che abbiano come fine istituzionale la protezione dell'agrobiodiversità, sulla base di appositi progetti, sentito il parere della competente commissione tecnico-scientifica di cui all'articolo 6.
c) assume direttamente iniziative volte alla tutela e valorizzazione di tali risorse;
d) stipula convenzioni con università, enti di ricerca, associazioni senza fini di lucro che abbiano come fine istituzionale la tutela della biodiversità;
e) favorisce le iniziative, pubbliche o private, tendenti a preservare e ricostituire le risorse genetiche e a diffonderne la conoscenza e il rispetto, e nel caso di razze, cultivar, popolazioni, ecotipi e cloni utilizzati a fini produttivi, a diffonderne l'uso e a valorizzarne i prodotti.
Art. 2
Definizioni
1. Ai sensi e per gli effetti della presente legge valgono le seguenti definizioni:
a) biodiversità: comprende l'insieme e la variabilità di tutti gli organismi viventi di ogni origine e natura che si trovano sulla biosfera e viene distinta in tre livelli principali: genetico, specifico ed ecosistemico;
b) agrobiodiversità: include tutte le componenti degli agroecosistemi e della diversità biologica di rilevanza per l'agricoltura e l'alimentazione; la varietà e variabilità genetica, specifica ed ecosistemica di animali, piante e microrganismi, indispensabili per sostenere le funzioni dell'agroecosistema, la sua struttura e i suoi processi e il patrimonio immateriale di conoscenze acquisite e antropologico-culturali;
c) conservazione ex situ: complesso di misure necessarie per la conservazione della diversità biologica di specie vegetali, animali, microbiche in ambiente diverso dal proprio habitat naturale; consente la conservazione delle specie domesticate e della loro variabilità genetica al di fuori del loro centro di origine o di diversità;
d) conservazione in situ: complesso di misure necessarie per la conservazione degli ecosistemi e degli habitat naturali, nonché il mantenimento e la ricostituzione delle popolazioni di specie vitali nel loro ambiente naturale e, nel caso delle specie di interesse agrario, nell'ambiente in cui si sono sviluppate le loro caratteristiche distintive; per conservazione in situ si intende anche la conservazione delle risorse genetiche in azienda (on farm);
e) ecotipo: forma morfologicamente distinta entro una unità tassonomica, prodotta dalla evoluzione e dalla selezione naturale;
f) popolazione: insieme di individui di una unità tassonomica, razza, cultivar, ecotipo, ceppo microbico e clone, autoctono, originario del territorio sardo, per cui è possibile effettuare una delimitazione fisica e/o genetica e una separazione dalle altre popolazioni;
g) unità tassonomiche: sono incluse in tale dicitura tutte le categorie tassonomiche, spontanee o coltivate, di livello specifico, sottospecifico e varietale;
h) produzioni primarie: prodotto alimentare derivante da produzioni direttamente ottenute a seguito di raccolto in campo senza alcuna lavorazione secondaria di trasformazione, ad esclusione delle lavorazioni necessarie per il confezionamento e la vendita;
i) ingrediente primario: prodotto che rappresenta la percentuale prevalente in un alimento, direttamente ottenuto a seguito di raccolto in campo o dopo prima lavorazione di base che, se pur ne alteri la consistenza o lo stato chimico-fisico, non risulti miscelato ad altri ingredienti o artificialmente umidificato;
j) materia prima: sostanza grezza non lavorata;
k) dieta mediterranea: così come definita dall'Unesco non solo in termini di cibo, ma di modello economico sociale sostenibile;
l) risorse genetiche per l'alimentazione e l'agricoltura: il materiale genetico di origine vegetale, animale, microbico, che abbia valore effettivo o potenziale per l'agricoltura;
m) materiale genetico: il materiale di riproduzione e/o moltiplicazione di origine animale, vegetale, microbico, contenente unità funzionali dell'eredità.
2. Sono considerate razze e cultivar locali, di seguito denominate risorse genetiche:
a) popolazioni, unità tassonomiche, razze, cultivar, ecotipi, ceppi microbici e cloni autoctoni, originari del territorio sardo;
b) popolazioni, unità tassonomiche, razze, cultivar, ecotipi, ceppi microbici e cloni alloctoni, introdotti da lungo tempo nel territorio della Regione e integrati tradizionalmente in forma produttiva nella sua agricoltura, nel suo allevamento e nei processi di trasformazione;
c) popolazioni, unità tassonomiche, razze, cultivar, ecotipi, derivanti dalle precedenti per selezione;
d) popolazioni, unità tassonomiche, razze, cultivar, ecotipi già autoctoni, ma attualmente scomparsi dal territorio della Sardegna e conservati in orti botanici, allevamenti, università o centri di ricerca sardi e di altre regioni o paesi, per i quali esiste un interesse economico, scientifico, culturale, paesaggistico a favorirne la reintroduzione.
Art. 3
Compiti della Regione
1. La Regione esercita la propria attività di conservazione, tutela, valorizzazione e diffusione delle risorse genetiche:
a) favorendo le iniziative, pubbliche o private, tendenti a preservare e ricostituire le risorse genetiche e a diffonderne la conoscenza e il rispetto, e nel caso di razze, cultivar, popolazioni, ecotipi e cloni utilizzati a fini produttivi, a diffonderne l'uso e a valorizzarne i prodotti;
b) assumendo direttamente iniziative volte alla tutela, alla valorizzazione e diffusione di tali risorse.
2. La Regione tutela e valorizza il patrimonio culturale di saperi, tecniche e consuetudini legate all'agrobiodiversità che le comunità rurali hanno storicamente praticato; a tal fine la Giunta regionale è autorizzata ad attivare, anche in concorso con gli enti locali e le agenzie regionali, associazioni e altri organismi, specifiche iniziative per il recupero e la conservazione, diffusione e tutela della memoria storica legata alla biodiversità di interesse agrario o identitario.
3. La Regione, mediante appositi programmi d'intervento, stabilisce le attività e le iniziative che ritiene necessario attivare e incentivare, determina i criteri di accesso ai benefici, la misura degli incentivi e le relative modalità di attuazione.
4. I programmi di cui al comma 3, approvati dalla Giunta regionale, seguono le seguenti linee di intervento:
a) ricerca sul territorio e selezione delle risorse genetiche;
b) conservazione delle risorse genetiche e gestione della Rete di conservazione e sicurezza di cui all'articolo 8;
c) valorizzazione dei prodotti locali tipici e tradizionali e identitari;
d) recupero e moltiplicazione delle risorse genetiche e diffusione nelle aree vocate;
e) monitoraggio dello stato di conservazione dell'agrobiodiversità;
f) predisposizione di piani per la diffusione e incentivazione al ritorno all'uso quotidiano di semenze, razze, e varietà sardi e utilizzazione delle strutture e delle risorse della Regione e degli enti connessi ad essa per incentivare la riproduzione e la diffusione, anche gratuita, ad agricoltori, associazioni, scuole, produttori ed appassionati.
5. La Regione, tramite l'Assessorato competente, sentito il parere della commissione di cui all'articolo 6, disciplina il prelievo delle risorse genetiche di cui all'articolo 1, finalizzato al miglioramento genetico e per i cui derivati ottenuti si intende chiedere privativa. Per tale autorizzazione si fa riferimento alla legge 6 aprile 2004, n. 101 (Ratifica ed esecuzione del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, con Appendici, adottato dalla trentunesima riunione della Conferenza della FAO a Roma il 3 novembre 2001), in merito agli accordi di trasferimento di materiale, ed all'articolo 8, lettera j), della Convenzione di Rio sulla biodiversità (1992), ratificata con legge 14 febbraio 1994, n. 124 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992), e al Protocollo di Nagoya del 29 ottobre 2010, in merito ai diritti ed all'equa distribuzione dei benefici in favore delle comunità indigene locali sul patrimonio delle risorse genetiche.
Art. 4
Repertori regionali
1. Fatti salvi i diritti degli agricoltori su ogni pianta coltivata o animale allevato, le risorse genetiche sono iscritte in appositi repertori regionali, tenuti dall'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale o da enti o organismi a ciò autorizzati con apposito provvedimento della Giunta regionale. Il patrimonio delle risorse genetiche di tali piante e animali appartiene alle comunità locali, all'interno delle quali sono equamente distribuiti i benefici, così come previsto dall'articolo 8, lettera j), della Convenzione di Rio sulla biodiversità (1992) ratificata con la legge n. 124 del 1994.
2. I repertori regionali sono organizzati secondo criteri e caratteristiche tecniche che consentano l'omogeneità e la confrontabilità con analoghi strumenti esistenti a livello nazionale e internazionale.
3. L'iscrizione nei repertori di risorse genetiche a rischio di erosione genetica o estinzione è corredata da apposita annotazione.
4. La produzione e commercializzazione delle sementi delle varietà da conservazione iscritte nel registro è effettuata nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 29 ottobre 2009, n. 149 (Attuazione della direttiva 2008/62/CE concernente deroghe per l'ammissione di ecotipi e varietà agricole naturalmente adattate alle condizioni locali e regionali e minacciate di erosione genetica, nonché per la commercializzazione di sementi e di tuberi di patata a semina di tali ecotipi e varietà).
Art. 5
Iscrizione ai repertori regionali
1. L'iscrizione delle risorse genetiche ai repertori regionali è effettuata dall'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale, previo parere espresso, ai sensi dell'articolo 6, dalla competente commissione tecnico-scientifica.
2. L'iscrizione ai repertori avviene a seguito di iniziativa da parte di enti scientifici, enti pubblici, organizzazioni private e singoli cittadini.
3. Le direttive di attuazione di cui all'articolo 14 disciplinano le modalità e le procedure per l'iscrizione ai repertori regionali.
Art. 6
Commissione tecnico-scientifica
1. È istituita la Commissione tecnico-scientifica per l'agrobiodiversità animale e vegetale.
2. La commissione è composta da:
a) un funzionario dell'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale competente in materia di risorse genetiche animali;
b) un funzionario dell'Assessorato regionale all'agricoltura e riforma agro-pastorale competente in materia di risorse genetiche di piante erbacee, arboree e forestali di interesse agrario;
c) un funzionario delle agenzie agricole regionali competente in materia di risorse genetiche animali in agricoltura;
d) un funzionario delle agenzie agricole regionali competenti in materia di risorse genetiche di piante erbacee, arboree e forestali di interesse agrario;
e) un agricoltore che detiene materiale animale e/o vegetale la cui tutela è prevista dalla presente legge in rappresentanza di ciascuna delle organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative;
f) quattro esperti del mondo scientifico e accademico di cui uno competente in materia di risorse genetiche animali in agricoltura, due competenti in materia di risorse genetiche di piante erbacee, arboree e forestali di interesse agrario e uno esperto in materie sociologiche e demo-antropologiche e in discipline storico-culturali concernenti la storia e la cultura dell'agricoltura, i saperi e le pratiche agro-alimentari locali;
g) due rappresentanti espressione dei comitati o delle associazioni che si occupano di biodiversità.
3. La commissione è nominata dalla Giunta regionale, resta in carica per cinque anni, decade comunque con la fine della legislatura nella quale i componenti sono stati nominati.
4. La commissione svolge le seguenti funzioni:
a) esprime parere in merito all'iscrizione e alla cancellazione della varietà da conservazione di cui all'articolo 1 nel repertorio regionale del patrimonio genetico;
b) stabilisce l'urgenza, la priorità e la tipologia d'intervento per ciascuna delle varietà da conservazione;
c) propone i criteri per l'individuazione degli agricoltori custodi delle varietà da conservazione;
d) esprime parere in merito alle richieste di prelievo di materiale di risorse genetiche di cui all'articolo 1, finalizzato al miglioramento genetico o all'ottenimento di prodotti che incorporano il materiale o qualsiasi delle sue parti o componenti genetiche e per cui si intende inoltrare richiesta di privativa.
5. Ai componenti della commissione compete il rimborso delle spese di viaggio di cui all'articolo 1, comma 1, lettera c), della legge regionale 22 giugno 1987, n. 27 (Norme per l'attribuzione di gettoni di presenza ai componenti di comitati, commissioni e altri consessi operanti presso l'Amministrazione regionale).
Art. 7
Banca regionale del germoplasma per l'agricoltura e l'alimentazione
1. Al fine di garantire la tutela, mediante la conservazione ex situ, delle razze e varietà locali è istituita la Banca regionale del germoplasma d'interesse agronomico, zootecnico e forestale, di seguito denominata Banca.
2. La banca svolge tutte le operazioni dirette a salvaguardare il materiale in essa conservato da qualsiasi forma di contaminazione, alterazione e distruzione, garantendone la disponibilità nel tempo.
3. Nella banca confluiscono tutte le accessioni iscritte nei repertori regionali.
4. Alla gestione della banca provvede l'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale che può avvalersi di altri soggetti, pubblici o privati, settorialmente specializzati, previo parere della commissione tecnico-scientifica di cui all'articolo 6.
5. Il funzionamento della banca è disciplinato con le direttive di attuazione di cui all'articolo 14.
Art. 8
Rete di conservazione e sicurezza
1. È istituita la Rete di conservazione e sicurezza delle risorse genetiche di interesse agrario, zootecnico e forestale, di seguito denominata rete, gestita e coordinata dall'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale o da enti e organismi a ciò delegati.
2. Della rete fanno parte di diritto gli agricoltori custodi di cui all'articolo 10 e la Banca regionale del germoplasma per l'agricoltura e l'alimentazione.
3. Alla rete possono aderire altri soggetti pubblici o privati, quali enti locali, istituti sperimentali, centri di ricerca, università, associazioni, comitati per le biodiversità, agricoltori e produttori, singoli o in forma associata, che siano in possesso dei requisiti previsti dalle direttive di attuazione di cui all'articolo 14.
4. La rete svolge ogni attività diretta a mantenere in vita il patrimonio di interesse agrario, zootecnico e forestale minacciato da erosione genetica attraverso la conservazione ex situ e in situ e provvede ad agevolarne la circolazione.
5. Gli agricoltori, gli enti, i centri di ricerca, le università, le associazioni e i comitati per le biodiversità depositari di materiale genetico tutelato dalle presenti disposizioni, sono invitati a fornire alla Banca del germoplasma per l'agricoltura e l'alimentazione una parte del materiale vivente ai fini della moltiplicazione, per garantire la conservazione delle informazioni genetiche presso altro sito accreditato.
6. Chiunque intenda depositare una domanda di privativa varietale o brevettuale su di una varietà derivata da una già iscritta nei repertori, oppure su materiale biologico derivante da questa, è tenuto a chiedere prima di qualunque registrazione il preventivo assenso all'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale, con le modalità previste dalle direttive di attuazione di cui all'articolo 14, acquisito il parere obbligatorio della commissione tecnico-scientifica di cui all'articolo 6.
Art. 9
Circolazione del materiale genetico
1. Al fine di garantire un uso durevole delle risorse genetiche, a seguito di apposita certificazione, è consentita, tra gli aderenti alla Rete, la circolazione, senza scopo di lucro e in ambito locale, del materiale genetico, volta al recupero, mantenimento e riproduzione di varietà locali a rischio di estinzione e iscritte nei repertori regionali.
2. Con le direttive di attuazione cui all'articolo 14 sono definite le modalità di circolazione del materiale genetico.
Art. 10
Agricoltore custode
1. Ai fini della presente legge si definisce "agricoltore custode" chi provvede alla tutela e conservazione in situ delle razze e varietà locali, ritenute di interesse, rare o a rischio di estinzione, iscritte nei repertori regionali di cui all'articolo 4.
2. L'agricoltore custode:
a) provvede alla messa in sicurezza della singola risorsa genetica proteggendola e salvaguardandola da qualsiasi forma di contaminazione, alterazione o distruzione;
b) diffonde la conoscenza, la coltivazione e l'allevamento delle risorse genetiche di cui è custode, attenendosi ai principi di cui alla presente legge;
c) effettua il rinnovo dei semi o la ricostituzione attraverso altro materiale di propagazione di specie conservate nella Banca regionale del germoplasma di interesse agrario, zootecnico e forestale, sentito il parere della competente commissione tecnico-scientifica di cui all'articolo 6.
3. Il titolo di agricoltore custode può essere riconosciuto a persone fisiche che possiedono il requisito minimo di professionalità o a società agricole e cooperative sociali agricole regolarmente operanti. Esso è conferito a seguito dell'iscrizione in apposito registro tenuto dall'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale o dall'ente o organismo a ciò delegato.
4. Nell'individuazione dell'agricoltore custode sono favoriti i membri delle comunità locali tradizionalmente impegnate nella conservazione delle risorse genetiche della Sardegna e chi abbia provveduto alla loro riscoperta.
5. La riproduzione di risorse genetiche effettuata dagli agricoltori custodi avviene presso le zone originarie di prelievo o quelle che la memoria storica riconosce come tradizionali luoghi di presenza della coltivazione.
6. In caso di necessità e urgenza l'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale o ente o organismo a ciò delegato provvede, per fini di pubblico interesse, all'avvio di un programma di riproduzione in campo di una varietà in via di estinzione.
7. Con le direttive di attuazione di cui all'articolo 14 sono disciplinati:
a) le modalità di iscrizione all'elenco di cui al comma 3;
b) i requisiti oggettivi e soggettivi necessari per ricoprire e per mantenere l'incarico di agricoltore custode;
c) le modalità di eventuali provvidenze a sostegno delle attività svolte dall'agricoltore custode.
Art. 11
Contrassegno
1. Per favorire la più ampia conoscenza e informazione dei cittadini in ordine a prodotti ottenuti da risorse genetiche di cui all'articolo 1, è istituito un contrassegno regionale da apporre sui prodotti costituiti, contenenti o derivati da materiale iscritto nei repertori regionali.
2. L'uso del contrassegno è facoltativo ed è concesso dalla Regione agli agricoltori custodi di cui all'articolo 10 e alle aziende agricole che producono o trasformano utilizzando, secondo le buone pratiche agricole consuete, pratiche compatibili con la necessità di salvaguardare l'ambiente e di conservare lo spazio naturale, secondo il regolamento CE n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che abroga il regolamento (CE) n.1698/2005 del Consiglio.
3. Con le direttive di attuazione di cui all'articolo 14 sono disciplinati: contenuto, caratteristiche grafiche e modalità di ottenimento e impiego del contrassegno di cui al comma 1.
Art. 12
Comunità di tutela della biodiversità agraria, della cultura, qualità e sicurezza alimentare
1. Al fine di sensibilizzare la popolazione, di sostenere le produzioni agrarie e alimentari, in particolare della rete regionale di cui all'articolo 8, e di promuovere comportamenti atti a tutelare la biodiversità agraria e alimentare, la Regione, anche con la collaborazione delle camere di commercio, dei consorzi di tutela, delle organizzazioni agricole di categoria maggiormente rappresentative e di altri soggetti riconosciuti, pubblici o privati, promuove l'istituzione di Comunità di tutela della biodiversità agraria e della cultura e qualità alimentare, definite ai sensi del comma 2.
2. Ai fini della presente legge, sono definiti Comunità di tutela della biodiversità agraria e della cultura e qualità alimentare gli ambiti locali derivanti da accordi tra agricoltori custodi locali singoli e associati, comitati per la biodiversità, gruppi di acquisto solidali, istituti scolastici e universitari, centri di ricerca, associazioni per la tutela della qualità della biodiversità agraria e alimentare, ospedali, esercizi di ristorazione, esercizi commerciali, piccole e medie imprese artigiane di trasformazione agraria e alimentare, nonché enti pubblici.
3. Gli accordi di cui al comma 2 possono avere come oggetto:
a) lo studio, il recupero e la trasmissione di conoscenze su varietà e razze locali;
b) lo studio e la diffusione di pratiche proprie dell'agricoltura biologica e di altri sistemi colturali a basso impatto ambientale e volti al risparmio idrico, alla minore emissione di anidride carbonica, alla maggiore fertilità dei suoli e al minore utilizzo di imballaggi per la distribuzione e per la vendita dei prodotti;
c) la realizzazione di forme di filiera corta, di vendita diretta, di scambio e di acquisto di prodotti agricoli e alimentari nei circuiti locali in ambito regionale;
d) la costituzione dei distretti di cui all'articolo 26;
e) lo studio, il recupero e la trasmissione dei saperi e sapori locali relativi alle pratiche agricole tradizionali e identitarie delle colture agrarie e degli allevamenti.
Art. 13
Interventi per la ricerca sulla biodiversità agraria e alimentare
1. La programmazione delle attività della Regione nell'ambito della ricerca e sperimentazione in agricoltura, per tramite delle proprie agenzie e dell'università, prevede interventi per la ricerca sulla biodiversità agraria e alimentare, sulle tecniche necessarie per favorirla, tutelarla e svilupparla nonché per favorire l'uso di risorse genetiche come strumento di adattamento ai cambiamenti climatici su interventi finalizzati al recupero di pratiche corrette in riferimento all'alimentazione umana, all'alimentazione animale, al risparmio idrico, al corretto uso dei suoli e alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
2. La Regione finanzia la realizzazione di progetti innovativi sulla biodiversità agraria, zootecnica e alimentare, proposti da enti pubblici, associazioni, comitati per la biodiversità e privati, individuati mediante bando pubblico.
Art. 14
Direttive di attuazione
1. La Giunta regionale approva con propria deliberazione le direttive di attuazione del presente capo entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge.
Capo II
Istituzione del marchio collettivo di qualità agro-alimentare garantito dalla Regione per la tracciabilità
e la promozione dei prodotti agricoli e agro-alimentari di qualità
Art. 15
Finalità
1. La Regione considera strategico il settore agro-alimentare regionale, adotta il modello alimentare mediterraneo come modello sostenibile e di tutela della biodiversità, promuove la valorizzazione dei prodotti agricoli, zootecnici, ittici e silvo-pastorali incentivando l'utilizzo di tecniche di produzione, di raccolta e di trasformazione che assicurino la qualità e favoriscano la salvaguardia dell'ambiente e la salute dei consumatori.
Art. 16
Istituzione del marchio collettivo
1. Per il conseguimento delle finalità di cui all'articolo 15, la Regione autonoma della Sardegna, ai sensi del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), registra un marchio di qualità a carattere collettivo dei prodotti agricoli e agro-alimentari, di seguito denominato "marchio" e ne è titolare.
2. Il marchio di cui al comma 1 identifica le produzioni agricole e agro-alimentari che offrono garanzie qualitative per sistema di produzione, lavorazione o per altre intrinseche caratteristiche ottenute con metodi di produzione definiti da appositi disciplinari di produzione vincolanti, i quali tengono conto della qualità socio-economica e ambientale in termini di: certezza dell'intero processo e tipicità, rispetto dell'etica del cibo, attenzione agli aspetti sociali, mantenimento delle tradizioni, responsabilità sociale delle imprese, salubrità dell'ambiente di coltivazione. In tal senso, la Regione si impegna a ricercare parametri omogenei che permettano ai consumatori la valutazione di questi aspetti.
3. I prodotti per i quali può essere concesso l'utilizzo del marchio sono realizzati nell'ambito di un sistema di qualità trasparente, aperto a tutti i produttori, che assicuri la completa tracciabilità dei prodotti e risponda alle esigenze del mercato e dei consumatori, agli standard di qualità socio-economica e ambientale adottati nei disciplinari di cui al comma 2, nel rispetto delle norme comunitarie sulla libera circolazione delle merci di cui agli articoli 34, 35 e 36 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
4. L'utilizzo del marchio è altresì consentito, fatta eccezione per i prodotti DOP
e IGP, per i prodotti tradizionali di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173 (Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell'articolo 55, commi 14 e 15, della L. 27 dicembre 1997, n. 449), e all'articolo 2 del decreto ministeriale 8 settembre 1999, n. 350 (Regolamento recante norme per l'individuazione dei prodotti tradizionali di cui all'articolo 8, comma 1, del D.Lgs. 30 aprile 1998, n. 173), che rispettino gli specifici disciplinari di produzione di cui all'articolo 19. I prodotti tradizionali possono contenere nell'etichetta la dicitura: "prodotto inserito nell'elenco nazionale dei prodotti tradizionali". Il nome tradizionale è legato al prodotto inserito nell'elenco nazionale dei prodotti.
Art. 17
Direttiva d'attuazione
1. La Giunta regionale disciplina, con proprie direttive:
a) il segno distintivo del marchio e il relativo manuale d'uso;
b) le modalità di concessione in uso e di utilizzo del marchio;
c) la disciplina della diffida, della sospensione e della revoca della concessione.
Art. 18
Concessione dell'uso del marchio
1. L'utilizzo del marchio è concesso per prodotti agricoli e agro-alimentari per i quali sono stati approvati i relativi disciplinari di produzione.
2. L'uso del marchio di cui all'articolo 16 è concesso, per i singoli prodotti, alle imprese, aventi la sede legale in Sardegna, singole o associate, che ne fanno richiesta.
3. Le imprese di cui al comma 2 si impegnano a rispettare gli specifici disciplinari di cui all'articolo 19, le disposizioni deliberate dalla Regione per l'applicazione della presente legge e quanto previsto dall'articolo 22 in materia di etichettatura, nonché a consentire lo svolgimento dei controlli di cui all'articolo 21.
Art. 19
Disciplinari di produzione
1. I disciplinari di produzione di ciascun prodotto fresco o trasformato fissano i caratteri dei processi produttivi e di filiera necessari per migliorarne la qualità, per diminuire l'impatto ambientale degli stessi e per tutelare la salute dei consumatori.
2. L'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale, con l'ausilio delle agenzie regionali competenti in materia di agricoltura, provvede alla formulazione e all'aggiornamento dei disciplinari di produzione, anche avvalendosi di agenzie ed enti tecnico-scientifici con provata esperienza nel settore.
3. I disciplinari di produzione sono approvati dalla Giunta regionale, pubblicati nel Bollettino ufficiale della Regione autonoma della Sardegna (Buras) e comunicati alla Commissione europea, ai sensi della direttiva n. 98/34/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione.
Art. 20
Comitato tecnico-scientifico
1. Presso l'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale è istituito un comitato tecnico-scientifico, quale supporto consultivo per la gestione e la promozione del marchio e per esprimere pareri sui disciplinari di produzione, sugli aggiornamenti degli stessi e sulle convenzioni tra Regione e soggetti interessati all'utilizzo del marchio.
2. Il Comitato è composto da:
a) il direttore generale della direzione regionale competente per materia o un suo delegato, con funzioni di presidente;
b) un rappresentante dell'Assessorato regionale dell'igiene, sanità e sicurezza sociale;
c) un rappresentante concordemente designato dalle associazioni dei consumatori maggiormente rappresentative;
d) un rappresentante concordemente designato dalle associazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello regionale;
e) un rappresentante concordemente designato dalle centrali cooperative del settore agro-alimentare maggiormente rappresentative a livello regionale;
f) due rappresentanti concordemente designati rispettivamente dalle associazioni delle imprese di trasformazione artigiane e industriali coinvolte nei processi di filiera maggiormente rappresentativi a livello regionale;)
g) un esperto della materia proveniente dal mondo accademico;
h) un esperto in materia di promozione e marketing delle produzioni agro-alimentari.
3. In relazione agli argomenti trattati, il comitato può essere di volta in volta integrato da un esperto per ciascuno dei settori merceologici da ammettere al marchio.
4. I componenti il comitato sono nominati con decreto dell'Assessore regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale.
5. Le sedute del comitato sono valide se è presente la metà dei componenti, in seconda convocazione è sufficiente la presenza di un terzo dei componenti.
6. Le decisioni sono adottate a maggioranza dei presenti.
7. Ai componenti il comitato compete il rimborso delle spese di viaggio di cui all'articolo 1, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 27 del 1987.
Art. 21
Controllo e vigilanza
1. La Giunta regionale, su proposta dell'Assessore regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale, individua il soggetto pubblico competente per il controllo del rispetto dei disciplinari di produzione da parte dei concessionari del marchio.
2. Al fine di certificare il proprio sistema di qualità e il rispetto dei disciplinari di produzione i concessionari del marchio hanno facoltà di avvalersi del soggetto pubblico di controllo di cui al comma 1 o di un organismo di controllo privato.
3. Gli organismi di controllo privati soddisfano i seguenti requisiti:
a) essere terzi e indipendenti;
b) essere accreditati dallo stato membro di appartenenza e operare ai sensi della norma tecnica UNI CEI EN n. 45011 del 1° marzo 1999 (Requisiti generali relativi agli organismi che gestiscono sistemi di certificazione di prodotti);
c) non svolgere attività di consulenza nei settori relativi alle attività oggetto del controllo.
Art. 22
Etichettatura
1. Gli operatori economici che hanno in concessione l'uso del marchio lo appongono in etichetta sul prodotto secondo le modalità definite nelle direttive di attuazione di cui all'articolo 17; l'etichettatura contiene la declinazione della dicitura individuata per il marchio, oltre che in lingua italiana, anche in lingua sarda.
2. Ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 (Attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari), e successive modificazioni e del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1169/2011, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (Testo rilevante ai fini del SEE), l'etichetta contiene l'indicazione del luogo di origine e di provenienza del prodotto e, nel caso di prodotti trasformati, anche del luogo di provenienza delle materie prime utilizzate.
3. Nel caso di produzioni primarie prodotte in Sardegna e di prodotti trasformati realizzati in Sardegna con materie prime sarde, l'indicazione di cui al comma 2 è la seguente: "Prodotto in Sardegna".
Art. 23
Interventi a sostegno della diffusione del marchio
1. La Giunta regionale:
a) promuove attività di studio, ricerca, informazione e divulgazione del marchio regionale di qualità;
b) promuove la realizzazione di campagne promozionali dei prodotti tutelati dal marchio anche attraverso iniziative integrate con il settore secondario e il turismo;
c) al fine di favorire un adeguato aggiornamento professionale dei soggetti concessionari del diritto d'uso del marchio, nonché per favorire l'integrale e corretta applicazione dei disciplinari da parte delle imprese agricole, promuove appositi interventi e seminari di assistenza tecnica e formazione professionale, avvalendosi delle agenzie agricole regionali.
2. Al comma 1 dell'articolo 2 della legge regionale 19 gennaio 2010, n. 1 (Norme per la promozione della qualità dei prodotti della Sardegna, della concorrenza e della tutela ambientale e modifiche alla legge regionale 23 giugno 1998, n. 18), dopo le parole "DOP e IGP", sono inserite le seguenti: "prodotti garantiti dal marchio regionale di qualità,".
Art. 24
Sanzioni amministrative
1. L'uso non autorizzato del marchio è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 3.000 a euro 15.000. In caso di reiterazione dell'infrazione la sanzione può essere aumentata sino a euro 25.000.
2. Il mancato rispetto degli obblighi di cui all'articolo 18, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 3.000.
3. Nell'ipotesi di reiterazione dell'infrazione di cui al comma 2, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria, il trasgressore:
a) nel caso di una seconda violazione è inibito dall'utilizzo del marchio per un periodo temporale da uno a sei mesi;
b) nel caso di un ulteriore violazione dopo la seconda è soggetto alla revoca definitiva dell'utilizzo del marchio.
4. Le sanzioni amministrative di cui ai commi 1, 2 e 3 sono accertate e irrogate dall'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale.
5. L'Amministrazione regionale destina gli introiti derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie al conseguimento delle finalità di cui al presente capo.
Capo III
Istituzione, individuazione e disciplina dei distretti rurali, dei distretti agro-alimentari di qualità, dei bio distretti e dei distretti della pesca e dell'acquacoltura di qualità
Art. 25
Oggetto e finalità
1. La Regione autonoma della Sardegna, ai sensi dell'articolo 13, commi 1 e 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57), nell'ottica di promuovere lo sviluppo rurale e le produzioni collegate al contesto produttivo storico-tradizionale sardo, disciplina, individua e istituisce i seguenti nuovi strumenti per la governance nei territori rurali:
a) distretti rurali, distretti agro-alimentari di qualità, bio distretti, distretti della pesca e dell'acquacoltura di qualità;
b) presìdi (comunità del cibo);
c) reti di filiera distrettuali e reti di filiera interdistrettuali;
d) reti di paniere.
2. La Regione considera innovativo e strategico quanto contenuto nella presente legge e si impegna a integrare nel nuovo Programma di sviluppo rurale (PSR) il tema della governance degli ambiti rurali con apposite misure che tengano conto dei nuovi strumenti e istituti e a indicarne le relative fonti di copertura finanziaria.
Art. 26
Definizioni
1. Si definiscono distretti rurali i sistemi produttivi locali di cui all'articolo 36, comma 1, della legge 5 ottobre 1991, n. 317 (Interventi per l'innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese), caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea derivante dall'integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.
2. Si definiscono distretti agro-alimentari di qualità i sistemi produttivi locali caratterizzati da significativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agro-alimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche.
3. Si definiscono bio distretti quei sistemi produttivi caratterizzati dalla presenza di filiere produttive a carattere biologico, in conformità alle disposizioni del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio del 28 giugno 2007 relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91. Gli stessi possono coincidere con i territori già identificati con i distretti rurali o agro-alimentari di qualità, sovrapponendosi, oppure costituire unità autonome, con confini propri non corrispondenti a quelli dei distretti rurali o agro-alimentari di qualità.
4. Si definiscono distretti della pesca e dell'acquacoltura di qualità i sistemi produttivi locali aventi le caratteristiche di cui all'articolo 36, comma 1, della legge n. 317 del 1991, caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea derivante dall'integrazione fra attività ittiche e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.
5. Si definiscono presìdi (comunità locali del cibo) le comunità, stabilmente organizzate, formate da imprese-associazioni o gruppi culturali locali e consumatori finali che pongono al centro delle proprie attività la produzione e il consumo di cibi "buoni, puliti e giusti" fortemente legati a un piccolo territorio dal punto di vista storico, sociale e culturale e che perseguono uno sviluppo armonico e sostenibile del proprio contesto.
6. Si definiscono reti distrettuali di filiera le reti formate da imprese in cui tutte le attività che vanno dalla materia prima al prodotto finito sono svolte in un determinato contesto territoriale omogeneo, solitamente coincidente con il territorio di un Gruppo di azione locale (GAL) o distretto rurale dove la cooperazione tra imprese della filiera è basata su accordi di filiera a carattere pluriennale, che regolamentano ruolo e contributo dei vari attori, in maniera trasparente, e che fanno parte integrante degli accordi costitutivi di rete.
7. Si definiscono reti interdistrettuali di filiera le reti formate da imprese in cui tutte le attività che vanno dalla materia prima al prodotto finito sono svolte in un determinato contesto territoriale che abbraccia più territori omogenei (quali imprese di più distretti\più GAL), dove la cooperazione tra le imprese della filiera è basata su accordi di filiera a carattere pluriennale, che regolamentano ruolo e contributo dei vari attori, in maniera trasparente e che fanno parte integrante degli accordi costitutivi di rete.
8) Si definiscono reti di paniere le reti soggetto, che si costituiscono per il convergere in chiave export\internazionalizzazione di più reti di imprese dell'agro-alimentare in un'unica rete, finalizzata alla formazione di un paniere espressione delle imprese aderenti e dei territori coinvolti, dove la cooperazione tra imprese dell'agro-alimentare è basata su appositi accordi inerenti la formazione e gestione operativa del paniere stesso, che fanno parte integrante degli accordi costitutivi di rete e regolamentano ruolo e contributo dei vari attori in maniera trasparente.
Art. 27
Obiettivi specifici
1. Le disposizioni del presente capo perseguono i seguenti obiettivi:
a) promuovere la cooperazione valorizzando le risorse del contesto territoriale di riferimento;
b) conservare la qualità del prodotto nel corso delle operazioni e dei passaggi nella filiera orizzontale fino al consumatore finale;
c) contribuire alla diffusione, alla commercializzazione e all'istituzione di nuovi prodotti a marchio DOP e IGP, nonché di produzioni a qualità ambientale certificata e riconosciuta a livello europeo;
d) contribuire all'utilizzo delle forme di paesaggio agricolo in chiave turistica, valorizzando le proprietà diffuse del territorio non funzionali a una produzione di massa;
e) contribuire all'aggregazione tra imprese per acquisire competitività nei confronti del mercato interno e dell'export;
f) collegare le produzioni primarie alle pratiche produttive, ristorative, turistiche, sportive e ricreative, scolastiche e dei servizi territoriali;
g) potenziare l'identità sarda tramite la salvaguardia e la riscoperta dei saperi e sapori tradizionali e con l'utilizzo delle risorse materiali e immateriali del territorio legate alla tradizione e alla cultura locali;
h) promuovere la salvaguardia e la valorizzazione della biodiversità locale;
i) evitare la marginalizzazione delle produzioni primarie nei rapporti interni al distretto;
j) favorire il raccordo e l'integrazione tra i sistemi produttivi locali.
Art. 28
Requisiti per l'individuazione dei distretti rurali
1. I distretti rurali sono individuati in un contesto territoriale geograficamente definito quando contemporaneamente:
a) vi sia la presenza di una realtà produttiva agricola, zootecnica e silvo-pastorale dedita alle produzioni tradizionali, in attività e di carattere non marginale, attuata in diverse aziende del territorio di origine;
b) le materie prime utilizzate per la realizzazione dei prodotti trasformati siano di origine locale;
c) la produzione non sia limitata a una sola tipologia di prodotto, né a un prodotto singolo, salvo che si dimostri la presenza di iniziative imprenditoriali atte a colmare tale mancanza nel breve periodo.
2. Costituiscono ulteriori elementi identificativi dei distretti, se sussistenti:
a) la presenza, tra gli abitanti del territorio, della memoria storica dei prodotti alimentari in questione, rintracciabile nell'utilizzo culinario della ristorazione locale, secondo ricette locali e tradizionali, e di rapporti di scambio, cessione, ricerca dei prodotti in questione all'interno della comunità locale;
b) la presenza di attività artigianali di trasformazione e/o manipolazione alimentare e/o di altro tipo, strettamente collegate alle produzioni del distretto rurale nonché alle tradizioni locali;
c) la presenza di attività di ricezione turistica e di imprese di ristorazione di qualsiasi dimensione che dimostrino l'utilizzo o la disponibilità concreta a utilizzare i prodotti distrettuali.
Art. 29
Requisiti per l'individuazione dei distretti agro-alimentari di qualità
1. I distretti agro-alimentari di qualità sono individuati in un contesto territoriale geograficamente definito quando contemporaneamente:
a) vi sia la presenza di produzioni agricole, zootecniche e silvo-pastorali di particolare qualità, merceologicamente omogenee, riconosciute dalla normativa comunitaria vigente per denominazione di origine o indicazione geografica, o certificate a livello nazionale o regionale secondo norme che ne distinguano e valorizzino la qualità, il processo produttivo e l'origine, nell'ottica del raggiungimento di un riconoscimento comunitario;
b) vi sia la presenza in loco di una filiera orizzontale economicamente rilevante, costituita a partire dalle produzioni di cui alla lettera a) con attività strettamente interconnesse riguardanti settori produttivi diversi da quello primario, tesi alla commercializzazione e valorizzazione della produzione locale tipica o tradizionale, di cui alla lettera a) e, contestualmente, a quella del territorio;
c) la programmazione territoriale e produttiva e l'assistenza nelle varie fasi della filiera orizzontale, a partire dalle produzioni primarie, sia realizzata da soggetti attivi del territorio, in sintonia e con il sostegno degli enti pubblici locali.
2. Qualora al momento dell'individuazione del distretto agro-alimentare di qualità la filiera orizzontale locale di cui al comma 1, lettera b), non risulti ancora integrata e attiva, ma vi siano sul campo, debitamente evidenziati e assicurati nella relazione dell'ente proponente di cui all'articolo 32, gli elementi e la volontà degli attori territoriali di costruirla nel breve periodo, la Regione può riconoscere comunque il distretto, fatto salvo l'obbligo da parte del consiglio direttivo del distretto di cui all'articolo 33 di certificare l'avvenuta realizzazione delle condizioni di cui al comma 1 entro il primo anno del primo mandato successivo al riconoscimento.
Art. 30
Requisiti per l'individuazione dei bio distretti
1. I bio distretti sono individuati in un contesto territoriale geograficamente definito quando ricorrono le seguenti condizioni:
a) vi sia la presenza di produzioni primarie di particolare pregio merceologicamente omogenee, derivate da processi produttivi che prevedono l'utilizzo di tecniche riconosciute dalla normativa comunitaria per l'ottenimento di prodotti biologici;
b) vi sia la presenza in loco di una filiera orizzontale economicamente rilevante, costruita a partire dalle produzioni di cui alla lettera a) con attività strettamente interconnesse riguardanti settori produttivi diversi da quello primario, tesi alla commercializzazione e valorizzazione della produzione biologica;
c) la programmazione territoriale e produttiva e l'assistenza nelle varie fasi della filiera orizzontale, a patire dalle produzioni primarie, sia realizzata da soggetti attivi del territorio, in sintonia e con il sostegno degli enti pubblici locali.
Art. 31
Requisiti per l'individuazione dei distretti della pesca e dell'acquacoltura di qualità
1. Ai fini della sua individuazione, il distretto della pesca e dell'acquacoltura di qualità possiede le seguenti caratteristiche:
a) realizzazione di uno o più prodotti merceologicamente omogenei, certificati e tutelati ai sensi della vigente normativa, biologici o tipici, la cui produzione risulti significativa per l'economia agro-alimentare regionale;
b) presenza di un sistema consolidato di relazioni tra imprese ittiche, servizi alla pesca e acquacoltura;
c) integrazione tra produzione e fenomeni culturali e turistici del territorio attraverso relazioni con le istituzioni locali interessate alla realtà distrettuale, con le quali le imprese ittiche stabiliscono rapporti di collaborazione.
Art. 32
Individuazione dei distretti
1. I distretti sono individuati e riconosciuti dalla Regione a seguito di apposita iniziativa da parte di:
a) enti locali, singoli o associati, insistenti sul territorio del distretto;
b) la camera di commercio competente per territorio;
c) le associazioni di categoria;
d) le imprese operanti sul territorio;
e) altri enti o istituzioni pubblici o privati.
2. L'ente o gli enti proponenti il distretto garantiscono la più ampia concertazione coinvolgendo le rappresentanze economiche, sociali e istituzionali del territorio.
3. I soggetti di cui al comma 1 svolgono azioni di animazione del territorio destinate a promuovere la costituzione dei distretti, anche con l'ausilio degli enti e agenzie regionali competenti in materia.
4. Gli enti proponenti individuano i soggetti primi costituenti del distretto.
5. Alla domanda di riconoscimento sono allegati:
a) l'accordo di cui all'articolo 33;
b) una relazione descrittiva (quali-quantitativa) del distretto proposto che contenga:
1) gli elementi sociali, economici e ambientali (agrario-paesaggistici) che caratterizzano e individuano il distretto proposto, secondo i parametri di cui agli articoli 28, 29, 30 e 31;
2) un'analisi dei punti di forza e dei punti di debolezza, le opportunità e i rischi nello sviluppo del territorio e nella costituzione del distretto;
3) un piano programmatico di sviluppo che dimostri le potenzialità del distretto nel medio periodo;
4) la rappresentazione cartografica dell'area interessata dal piano, con identificazione di comuni ed enti locali e dei loro confini amministrativi;
5) l'elenco e le schede quanti/qualificative delle aziende potenzialmente interessate al distretto.
Art. 33
Costituzione del distretto
1. Il distretto è costituito mediante la stipula di un apposito accordo tra i soggetti aderenti operanti sul territorio.
2. L'accordo disciplina la composizione e la nomina del consiglio direttivo del distretto, nel rispetto di quanto previsto dal comma 5.
3. Il consiglio direttivo è l'organo di governo del distretto con potere decisionale.
4. Il consiglio direttivo elegge al suo interno il presidente del distretto a cui compete la rappresentanza legale del distretto.
5. All'interno del consiglio direttivo non meno di un terzo dei componenti appartiene al settore primario ed è assicurata la rappresentatività di ogni settore coinvolto nella filiera orizzontale distrettuale. Nel caso di compresenza di produzioni primarie agricole, zootecniche, ittiche e forestali è assicurata la presenza degli operatori di ciascuno di questi settori.
Art. 34
Funzionamento del distretto e procedure di approvazione del piano
1. I soggetti promotori forniscono servizi che agevolano l'iter procedurale e la realizzazione del piano di distretto di cui all'articolo 35.
2. Il consiglio direttivo elabora un piano di azione, denominato piano di distretto, coincidente con la durata del mandato del consiglio direttivo, secondo le finalità, gli obiettivi e le prescrizioni contenuti nella presente legge; il piano di distretto è presentato alla Regione per l'approvazione entro tre mesi dall'insediamento del consiglio direttivo.
3. La Regione, entro un mese dalla ricezione, si pronuncia sul piano.
4. L'attuazione del piano di distretto è sottoposta a verifiche con cadenza annuale da parte della Regione.
5. Le eventuali variazioni del piano di distretto adottate dal consiglio direttivo sono soggette ad approvazione regionale.
6. I membri di un consiglio direttivo distrettuale rurale non possono appartenere a un altro distretto rurale.
7. L'unione e la confluenza di due o più distretti è proposta dalla Regione a seguito di valutazione concordata con gli enti promotori e i rappresentanti legali dei distretti.
Art. 35
Contenuti del piano di distretto
1. Il piano di distretto contiene i seguenti elementi:
a) una relazione dettagliata quali-quantitativa che illustri e descriva:
1) lo stato attuale del distretto, in cui emergano gli attori e i componenti del distretto e il loro grado di interconnessione e interdipendenza, integrata dalla rappresentazione cartografica dell'area interessata dal piano, con identificazione di comuni ed enti locali e dei loro confini amministrativi;
2) il grado di attuazione degli obiettivi raggiunti nel corso del mandato del precedente consiglio direttivo, indicati nel corrispondente piano di distretto e un'indicazione delle continuità o discontinuità del nuovo piano di distretto rispetto al precedente;
3) le attività di coinvolgimento delle imprese facenti parte del territorio del distretto;
4) le modalità di sviluppo a breve termine individuate dal consiglio direttivo, comprensive di corrispondenze ai piani di sviluppo rurale o settoriali per le attività coinvolte nel distretto;
b) un elenco dei soggetti attuatori e delle fonti di finanziamento;
c) l'indicazione delle sinergie e delle integrazioni con altri strumenti comunitari, nazionali e regionali di intervento.
Art. 36
Direttive di attuazione
1. La Giunta regionale, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, delibera, con proprie direttive di attuazione, le modalità di costituzione e di composizione dei distretti e individua le strutture regionali di riferimento.
Capo IV
Disposizioni comuni
Art. 37
Clausola valutativa
1. La Giunta regionale, attraverso le sue agenzie, esegue il monitoraggio costante sullo stato di attuazione della presente legge e annualmente trasmette al Consiglio regionale una dettagliata relazione.
Art. 38
Norma finanziaria
1. Agli oneri derivanti dagli articoli 1, 3, 6, 7, 10, 13, 20 e 23 della presente legge, valutati complessivamente in euro 290.000 per il 2014 e in euro 570.000 per gli anni 2015 e successivi, si provvede, nei limiti degli stanziamenti di bilancio annualmente a ciò destinati, come di seguito:
a) quanto a euro 290.000 per l'anno 2014, mediante utilizzo di quota parte delle risorse già destinate agli interventi di cui all'articolo 7, comma 14, della legge regionale 5 marzo 2008, n. 3 (legge finanziaria 2008), e successive modifiche ed integrazioni, iscritte per l'anno 2014 in conto dell'UPB S06.04.015 del bilancio di previsione della Regione per gli anni 2014-2016;
b) quanto a euro 570.000 per gli anni 2015 e 2016, mediante utilizzo di quota parte delle risorse già destinate agli interventi di cui all'articolo 21, comma 3, della legge regionale 29 maggio 2007, n. 2 (legge finanziaria 2007), e successive modifiche ed integrazioni, iscritte per gli anni 2015 e 2016 in conto dell'UPB S06.04.006 del bilancio di previsione della Regione per gli anni 2014-2016 e di quelle corrispondenti per gli anni successivi.
2. Ai fini dell'attuazione del comma 1 nel bilancio di previsione della Regione per gli anni 2014-2016 son apportate le seguenti variazioni:
in aumento
UPB S06.04.015
Tutela, valorizzazione e marketing dei prodotti agricoli - spese correnti
2014 euro ---
2015 euro 500.000
2016 euro 500.000
UPB S01.03.003
Funzionamento organismi di interesse regionale
2014 euro 40.000
2015 euro 70.000
2016 euro 70.000
in diminuzione
UPB S06.04.015
Tutela, valorizzazione e marketing dei prodotti agricoli - spese correnti
2014 euro 40.000
2015 euro ---
2016 euro ---
UPB S06.04.006
Agevolazioni alle aziende agricole danneggiate da calamità naturali o avversità atmosferiche - parte corrente
2014 euro ---
2015 euro 570.000
2016 euro 570.000
3. Gli oneri derivanti dalle succitate disposizioni gravano sulle suddette UPB del bilancio di previsione della Regione per gli anni 2014-2016 e su quelle corrispondenti dei bilanci per gli anni successivi.
4. Dall'attuazione delle altre disposizioni di cui ai capi I e II e dall'attuazione dell'intero capo III non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Art. 39
Entrata in vigore
1. La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nel Buras.
La presente legge sarà pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione.
E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione.
Data a Cagliari, 7 agosto 2014
Pigliaru